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 mercoledì 4 dicembre 2013

L'Italia è il Paese più ricco del G7. Perché l'Europa non ne tiene conto?

 

Tra i Paesi del G7 l'Italia vanta un primato spesso ignorato: la più alta ricchezza netta delle famiglie in rapporto al reddito disponibile. I dati Ocse (con l'ultimo update che risale al 13 giugno 2013 e che fanno un bilancio fino al 2011)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

indicano che sommando algebricamente attività finanziarie, attività reali (immobili in sostanza) e passività finanziarie le famiglie italiane hanno una ricchezza netta dell'852,8% rispetto al reddito disponibile. Per dirla in gergo contabile sono meglio patrimonializzate delle altre famiglie delle economie che nel 1976 - quando è stato istituito il G7 - erano le più potenti al mondo. Circa il 70% della ricchezza netta delle famiglie italiane è detenuto in attività reali, il restante 30% in asset finanziari. 

Proporzione simile anche per la Francia che però è al terzo gradino (dopo l'Inghilterra) con una ricchezza netta pari all'809% del reddito disponibile. Poi segue il Giappone in cui la componente finanziaria netta supera quelle delle attività reali. E' risaputo, infatti, che circa il 90% dell'enorme debito pubblico nipponico è "interno", ovvero detenuto dagli stessi cittadini giapponesi (ciò lo rende meno vulnerabile da attacchi finanziari nel breve periodo ma certamente più esposto a dinamiche demografiche).

Quinta la Germania (627%) seguita dagli Stati Uniti che, al pari del Giappone, detengono attività finanziarie superiori a quelle reali.

L'Italia è al primo posto di questa classifica. Le famiglie sono meglio patrimonializzate che altrove. Questo dato fa il paio con un altro primato - indicato dalla Commissione europea nel Financial Sustainability Report 2012 - che emerge dall'indice di sostenibiltà del debito S2. Questo indice non calcola solo l'ammontare del debito ma tiene anche conto del flusso degli avanzi primari futuri, degli interessi attesi e delle future spese demografiche (pensioni e sanità). Ne risulta che il debito pubblico italiano è il più sostenibile fra tutti quelli dell'Unione europea nel lungo periodo. 

A questo punto, la domanda è: come mai nei parametri di Maastricht e successivi non si tiene conto di queste ponderazioni? Ci si sofferma solo su un lato della medaglia (deficit, debito) e non si analizza in profondità il corrisponde attivo (come farebbe un qualsiasi ragioniere nella logica della partita doppia)?

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